domenica 15 gennaio 2017

Shirley

Autrice: Charlotte Bronte
Lingua: italiano
Genere: romanzo sociale
Prima pubblicazione: 1849

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Shirley è il romanzo di Charlotte Bronte pubblicato successivamente a Jane Eyre, nel 1849. Durante la stesura, l'autrice perse il fratello Branwell e le due sorelle rimastele, Anne - autrice di Agnes Grey - ed Emily - autrice di Cime tempestose -, a cui pare siano ispirati rispettivamente i personaggi di Caroline e Shirley.
Molto probabilmente tali lutti influenzarono Charlotte durante la stesura del romanzo, che si presenta come ammantato da un velo di opprimente malinconia, ed in cui sembra che la speranza non riesca a brillare nemmeno durante gli eventi più lieti.

Dopo aver riletto e riscoperto Jane Eyre, ero molto curiosa riguardo a questo romanzo, che però purtroppo ho trovato piuttosto noioso e non molto piacevole.
La prima parte è dedicata alla descrizione di tre giovani curati alquanto sgradevoli, ed il tutto risulta molto tedioso e prolisso.
Le digressioni in generale appesantiscono tutto il romanzo, così come il continuo rivolgersi ai lettori della voce narrante.

Il personaggio il cui nome dà il titolo al romanzo, Shirley, compare a circa un terzo della storia. Inizialmente mi è piaciuto molto: si tratta di una giovane donna che ha ereditato una grossa fortuna, tra cui un opificio, e che non permette a nessuno di controllare i suoi possedimenti, facendo valere le proprie opinioni e il proprio volere in una società maschilista caratterizzata da una visione piuttosto limitata e gretta della donna.

La condizione femminile è infatti uno dei temi principali del romanzo. Molto spesso mi ha fatto arrabbiare il modo in cui i personaggi maschili parlano delle donne, ritenendole incapaci di pensiero ed azione, ed adatte solo alle faccende di casa, al ricamo e ad essere mogli ubbidienti e madri perfette.
Shirley, con il suo modo di fare e le sue parole, dà probabilmente voce all'autrice stessa, denunciando la situazione opprimente delle donne e tentando di squarciare quel velo di sessismo che soffocava - soffoca? -la parte femminile della società.
Ella, infatti, tiene testa a tutti gli uomini che vorrebbero manipolarla e rifiuta che altri scelgano chi debba sposare.
Tuttavia, a mano a mano mi è sembrata sempre più volubile ed immatura, e la sua scelta di condividere la propria vita con qualcuno che la "domasse" l'ha un po' riportata tra i ranghi delle signorine per bene dell'epoca (anche se poi il suo cedere ogni potere decisionale al marito si è dimostrato frutto di ragionamento e calcolo, piuttosto che di indolenza e fragilità).

L'altro personaggio femminile di spicco, quasi una co-protagonista di Shirley, è Caroline. Credo che
sarebbe stata la mia preferita se avessi letto il romanzo da adolescente; si tratta infatti di una ragazza timida, sensibile, alla chiara ricerca di quell'affetto che né i genitori assenti né il burbero zio hanno saputo darle.
Tuttavia, a ben guardare, anche Caroline è un personaggio molto più profondo di quel che sembri. Anche lei soffre profondamente per le limitazioni del suo sesso, vorrebbe andar via e lavorare, ma nessuno, nemmeno la sua cara amica Shirley, comprende il suo bisogno di tenersi occupata. Tutti credono che le basti semplicemente fare lunghe passeggiate, prendere il tè con dei conoscenti e ricamare, per diventare la fanciulla più felice del mondo.
Inoltre l'ho apprezzata molto quando è riuscita a tener testa alla dura Mrs Yorke (chiaro esempio di come le donne siano le peggiori nemiche delle altre donne), o quando non si è tirata indietro nel seguire Shirley alla fabbrica, andando incontro a pericoli e difficoltà.
Eppure, quel suo ammalarsi d'amore e quasi morirne l'ha riportata tra tutte quelle fragili eroine incapaci di vivere senza un uomo, o di trovare un senso alla propria esistenza al di fuori della vita matrimoniale.

Oltre a Caroline e Shirley, tantissimi altri personaggi popolano il romanzo, permettendo all'autrice di mostrarci un'istantanea della popolazione dello Yorkshire dei primi decenni dell'Ottocento.
Grazie ad essi, è possibile apprezzare lo smisurato talento di Charlotte Bronte nel penetrare l'animo umano e descrivere personaggi realistici, quasi palpabili e con caratteristiche peculiari.
Ciò è palese nella descrizione della famiglia Yorke e soprattutto della matrona.

Tra i personaggi maschili, di sicuro il più importante è Robert Moore, interesse amoroso - nonché cugino - di Caroline, imprenditore indebitato e fervente fautore della meccanizzazione. E' proprio sopratutto grazie a lui se il romanzo può focalizzarsi sulle conseguenze economiche delle guerre napoleoniche e aprire una finestra sul luddismo.


Robert non è di sicuro un eroe al pari di Rochester, è invece freddo, duro, calcolatore, tutto preso dalla sua azienda; il cambiamento avverrà solo alla fine, quando un pericolo mortale gli farà rivalutare le sue priorità (e quando, aggiungerei, si sentirà ormai al sicuro dalla bancarotta). Nonostante ciò, è un personaggio che non è riuscito a piacermi nemmeno per un attimo.
Molto diverso il fratello Louis, precettore, sensibile, ma comunque con il suo ideale di donna da "addomesticare".
Ancora, da menzionare il duro ma sensibile Mr Helstone, zio di Caroline, o il buon reverendo Hall, e tutto il pantheon di personaggi ricchi e poveri che popolano il racconto, come Hortense, le zitelle, gli operai, Martin...
Riguardo a Mrs Pryor, inizialmente l'ho trovata interessante, ma, in seguito, il fatto che si rivelasse parente di uno dei personaggi mi è sembrato forzato come la parentela tra Jane Eyre e i Rivers.

Il finale mi è parso, se non scontato, quanto meno poco emozionante. Mi aspettavo la morte di uno dei personaggi a cui, pare, la scrittrice avesse pensato, cambiando però idea dopo la scomparsa della sorella Anne.


Curiosità: ai tempi della prima pubblicazione il romanzo ebbe così tanto successo che Shirley, nome fino ad allora maschile, divenne per lo più femminile. Inoltre, il nome da nubile di Mrs Pyor è Agnes Grey, come quello della protagonista del romanzo di Anne Bronte.

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Trama: Yorkshire, inizio Ottocento. Shirley, giovane donna ricca e caparbia, si trasferisce nel villaggio in cui ha ereditato un vasto terreno, una casa e la comproprietà di una fabbrica. Presto fa amicizia con Caroline, orfana e nullatenente, praticamente il suo opposto. Caroline è innamorata di Robert Moore, imprenditore sommerso dai debiti, spietato con i dipendenti e determinato a ristabilire l’onore e la ricchezza della sua famiglia, minati da anni di cattiva gestione. Pur invaghito a sua volta della dolce Caroline, Robert è conscio di non poterla prendere in moglie: la ragazza è povera, e lui non può permettersi di sposarsi solo per amore. Così, mentre da una parte Caroline cerca di reprimere i suoi sentimenti per Robert – convinta che non sarà mai ricambiata –, dall’altra Shirley e il suo terreno allettano tutti gli scapoli della zona. Ma l’ereditiera prova attrazione per un insospettabile…
Shirley si inserisce nel grande filone del romanzo sociale inglese di inizio Ottocento: i suoi personaggi vivono gli avvenimenti storici dell’epoca – le guerre napoleoniche e le lotte luddiste –, facendo i conti con le contraddizioni del progresso industriale e offrendo spunti di riflessione sul lavoro, sul matrimonio e sulla condizione della donna.

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Giudizio personale: 3/5

sabato 7 gennaio 2017

Jane Eyre

Autrice: Charlotte Bronte
Lingua: italiano
Genere: classico / romance / romanzo sociale / romanzo di formazione
Prima pubblicazione: 1847

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Jane Eyre è uno di quei romanzi che ho letto innumerevoli volte da piccola. Allora non era uno dei miei favoriti - gli preferivo di gran lunga Il ritratto di Dorian Gray - e gli eventi che più colpivano la mia fantasia erano quelli ambientati a Gateshead e Lowood.         Rileggere il romanzo è stata una vera e propria riscoperta; mi è piaciuto tantissimo (a parte qualche forzatura, come la parentela con i Rivers) e soprattutto ho apprezzato molto la protagonista Jane, un'eroina appassionata, affamata di vita e insofferente alla staticità e alla vita "tranquilla" tanto agognata da molti.

Le descrizioni di luoghi e caratteri sono così vivide e chiare che, nel primo caso, palazzi si ergono solidi e paesaggi si estendono palpitanti davanti agli occhi del lettore, nel secondo ci si meraviglia di come una penna possa penetrare così profondamente l'animo umano (caratteristica, questa, secondo me ancora più lampante in Shirley).


La storia di Jane prevede varie "tappe", per ognuna delle quali è determinante un caratteristico luogo: 



- Gateshead è il primo posto significativo del romanzo, che contiene già nel suo nome, "gates", "cancelli", il senso di prigionia e di oppressione che la piccola protagonista prova nella casa di uno zio morto troppo presto e di una zia fermamente decisa ad esserle ostile. In quel luogo la piccola resta fino ai dieci anni, maltrattata psicologicamente e fisicamente da tutti i membri della famiglia e dalla servitù, eccetto qualche sporadica manifestazione di affetto dalla bambinaia Bessie.

A raccontare è la stessa Jane, e, mentre ho provato pietà e simpatia nei confronti della piccola, qualcosa nel tono della protagonista narratrice ormai adulta mi ha invece infastidito.

Ricordo che anche da ragazzina non mi piaceva la parte iniziale del racconto, ambientata a Gateshead e poi a Lowood, per quell'immane senso di ingiustizia che si respira e quella incredibile crudeltà di cui possono essere capaci gli adulti nei confronti di creature così inermi e bisognose di affetto come i bambini.
Ma anche da piccola Jane dimostra tutto il suo acume e la sua passionalità. Adoro le risposte che dà al farmacista prima e al signor Brocklehurst poi, in cui rivela anche tutta la sua ingenuità di bambina e il suo desiderio di affetto. E' però nel suo confronto con la zia Reed che vediamo davvero divampare le fiamme del suo animo, in una delle scene più belle e soddisfacenti del romanzo.
In questa prima parte, inoltre, si pone molto l'accento sulla mancanza di bellezza della piccola Jane, che, se fosse stata più graziosa, probabilmente sarebbe stata trattata meglio. E' un concetto ripetuto più volte, e fa riflettere sul pregiudizio e sull'importanza che l'aspetto fisico aveva già nel XIX secolo.



- Lowood ("low", "basso"), è il secondo luogo significativo per Jane Eyre, quella scuola tanto agognata, che le dà la speranza di trovare un posto migliore dopo Gateshead. Questa è la parte della storia che più colpiva la mia immaginazione da piccola, tanto che avevo del tutto dimenticato ciò che di buono comunque la protagonista trova nella sua nuova casa, tutto spazzato via da capelli da tagliare perché troppo ricci e lunghi e da cibo scarso e aria malsana.
Lowood ci mostra ancora una volta la malvagità e l'ipocrisia degli uomini, in primis quelle del signor Brocklehurst, che riversa tutto il suo sadismo su bambine inermi e abbandonate, mentre palesemente, nella sua casa e all'interno della sua famiglia, le regole tanto sbandierate nella scuola non trovano alcuna applicazione. Tuttavia, per fortuna, l'universo degli adulti non è fatto solo di malvagità ed incoerenze: a Lowood Jane incontra infatti anche la sovrintendente Miss Temple, vera e propria luce in un luogo che altrimenti sarebbe stato fagocitato dall'oscurità. Ed inoltre la piccola protagonista conosce finalmente l'affetto e la complicità delle sue coetanee, in particolare quelli di Helen, uno dei personaggi più commoventi che abbia mai incontrato in un romanzo.

E' facile scorgere nella vicenda, quella personale di Charlotte Bronte, la morte delle due sorelline maggiori in una scuola che, probabilmente, non doveva essere molto diversa da Lowood.
Anche di fronte a mille avversità, Jane - e forse Charlotte stessa - non si fa piegare: rieccola, a soli diciotto anni, affamata del mondo e della vita, trascinata da quel fuoco che non ha mai abbandonato la sua anima, nella nuova pagina della sua storia:



- Thornfield ("thorns", "spine"), la dimora di proprietà di quel signor Rochester che le cambierà la vita.
E' questa la parte più lunga e bella del romanzo, che prevede anche una sortita a Gateshead che chiude il cerchio di quella parte della storia (mi sarei aspettata un destino peggiore per le cugine Reed, ma la Bronte è stata piuttosto buona con loro).

Qui, a mio parere, le descrizioni raggiungono il loro massimo in quanto a bellezza e plasticità; a tal proposito, l'autrice è molto brava a mostrarci una Thornfield quasi perennemente in penombra, che si riempie poi di vita e di luce in occasione dell'arrivo degli ospiti del signor Rochester (sembrava quasi di essere in un altro romanzo), per poi trasformarsi, alla fine, in una rovina grigia e arida.

Per quanto riguarda il protagonista maschile, il signor Rochester, è stato una bella sorpresa: ricordavo un personaggio piuttosto burbero ed anche violento, che non avrei mai potuto considerare piacevole. ed invece ho riscoperto una figura molto umana, capace di smisurato amore e tenerezza, forte e orgogliosa, pur se con alcuni eccessi verbali che non gradisco mai.
La sua storia con Jane è a tratti molto dolce; i suoi sentimenti lo rendono vulnerabile e fragile di fronte al suo "elfo" piccolo e pallido.

Una delle scene più belle è probabilmente quella che si svolge subito dopo lo scongiurato incendio nella camera da letto del signor Rochester, il quale si trova messo a nudo sentimentalmente dinanzi alla sua salvatrice e non vorrebbe più lasciarla andare.
Jane, dal canto suo, una volta liberatasi della disciplina di Lowood, può finalmente esprimere di nuovo se stessa, con tutta la sua passionalità e caparbietà, il suo carattere risoluto e anche ingenuamente impertinente.



- La parte che concerne Withcross ("cross", "incrocio") e Marsh End ("end", fine") è invece, secondo me, quella più brutta e meno riuscita.
L'inizio è penoso come nemmeno gli eventi di Gateshead e Lowood hanno saputo essere, e c'è una casualità troppo forzata nell'arrivo di Jane proprio a Moor House (anche se, il fatto che la protagonista abbia preso quella strada solo perché in ombra, rispetto alle altre assolate, quasi giustifica il tutto).

Il personaggio di St. John non mi è piaciuto per niente. Da tutti considerato un brav'uomo, puro, addirittura, mi è sembrato invece solo pieno di sé, presuntuoso, dal linguaggio apparentemente forbito, ma per lo più vacuo e tronfio.
Interessante è il suo rapporto con Jane, che mi sembra quanto mai attuale. L'uomo, infatti, ha un carattere coercitivo ed esigente e Jane, pur avendo dimostrato più volte di essere forte e risoluta, si ritrova schiacciata dalla sua personalità e sottomessa a tutti i suoi comandi. Almeno fino a quando non prende coscienza del fatto che con lui non potrà mai più essere se stessa, non potrà mai più ridere, né amare, né pensare, probabilmente. In tal modo St. John è portatore di una violenza diversa e ben peggiore di quella del signor Rochester, ed è stato molto penoso leggere le scene di dialogo che lo vedevano protagonista. Egli vuole da Jane una "sottomissione totale". L'ho trovato odioso, e mi è spiaciuto che alla fine si sia dato così tanto spazio al suo personaggio.
Eppure probabilmente è proprio lui a "risvegliare" la vera Jane, e a darle quella spinta e quelle motivazioni che le permetteranno di cercare Rochester.



- Le scene a Ferndean ("ferns", "felci") sono alcune tra le più belle. Ho adorato l'incontro tra i protagonisti, la presentazione del "nuovo" Rochester, il rapporto tra i due, e mi hanno fatto spesso sorridere le irriverenti risposte di Jane (soprattutto quel suo "Perché ci sto comoda").

Un finale lieto non era del tutto scontato per una storia del genere, ma, per quanto mi riguarda, è del tutto benvenuto.

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Quarta di copertina: Jane Eyre è il capolavoro di Charlotte Brontë, l’affresco vivissimo di un’epoca e di una società, la storia di una proposta d’amore inaccettabile dal punto di vista della morale corrente ma che innesca il tormento della passione e la conseguente repressione. Potente figura femminile, l’eroina del romanzo ha ispirato numerose versioni cinematografiche. Cenerentola priva del candore della fiaba, Jane è la piccola governante che affascina e poi sposa il suo padrone, né bella né attraente secondo i canoni ottocenteschi della femminilità, forse ignara delle arti sottili della seduzione, ma animata da una volontà incrollabile che travolge ogni ostacolo e la preserva immune dalle tentazioni disseminate sull’aspro cammino che conduce alla realizzazione di sé come donna.

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Giudizio personale: 5/5

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Una delle prime trasposizioni cinematografiche di Jane Eyre in sonoro è del 1943. La regia fu affidata a Robert Stevenson, e tra gli sceneggiatori spicca il nome di Aldous Huxley. 
Oggi fa sorridere il titolo scelto per la versione italiana, "La porta proibita", così come gli adattamenti dei nomi dei personaggi, tra tutti, "il signor Eduardo della Romita" per Edward Rochester di Thornfield.

La pellicola ha tutto il fascino dei vecchi film in bianco e nero, e all'inizio mi è piaciuto molto: pur con alcune differenze rispetto alla storia originale, sembrava comunque saper cogliere l'essenza del romanzo.


Le bambine che vi recitano sono tutte molto brave; si riconosce una giovanissima Elizabeth Taylor nel ruolo di Helen, mentre la piccola Margaret O'Brien è un'adorabile Adele.


Col proseguire della storia, però, il mio entusiasmo è andato sempre più scemando, soprattutto a causa dei due protagonisti e della loro relazione.

Jane, interpretata da Joan Fontaine, non ha quasi nulla del personaggio di Charlotte Bronte: non ha passionalità né schiettezza, ed è fin troppo languida e svenevole.
Il signor Rochester, a cui presta il volto Orson Wells, con le sue entrate a effetto mi faceva pensare a un moderno super eroe, e sono state stressate troppo tutte le caratteristiche più dure del suo carattere, lasciando ben poco spazio alla tenerezza.



La storia tra i due, infine, non è riuscita ad appassionarmi nemmeno un po', nasce quasi all'improvviso, e mentre lei non fa altro che guardare di continuo lui con i suoi occhi languidi, da parte di Eduardo non mi sembra ci sia nulla, a parte le parole, a testimoniare il suo grande amore.

Alla storia mancano tutti gli eventi di Marsh End, compresa la questione dell'eredità, immagino per esigenze di tempo.
Il finale è abbastanza insipido.

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Nel 2006 la BBC ha trasposto in una miniserie di 4 episodi il romanzo di Charlotte Bronte, con l'omonimo titolo Jane Eyre.
Ero molto impaziente di guardare questa produzione, che però, purtroppo, non mi è piaciuta.

Per quanto riguarda il cast, ho apprezzato solo la scelta di Ruth Wilson quale protagonista, l'ho trovata molto amabile e adatta alla parte. L'attrice che interpreta Jane da piccola, invece, non è per niente esile, pallida o brutta, come avrebbe dovuto essere, ma si tratta piuttosto di una bella bambina robusta. Parimenti, mi aspettavo un Rochester meno avvenente e giovane: Toby Stephens, che lo interpreta, non è per niente brutto, e non sembra affatto avere vent'anni più della sua coprotagonista.

Georgie Henley (Jane bambina) - Christina Cole (Blanche) - Cosima Littlewood (Adele)
Ancora, la bambina che interpreta Adele è troppo grande per il ruolo; Christina Cole, perfetta nei panni di Augusta Elton in Emma, è una Blanche sì bella, ma il suo aspetto e i suoi modi stressano troppo il fatto che non si tratti di un personaggio "buono", cosa che invece lo spettatore, secondo me, avrebbe dovuto capire dalle sue azioni. Infine, Claudia Coulter è una Bertha per niente scarmigliata e, a prima vista, nemmeno folle, mentre il personaggio della signora Fairfax è troppo spigoloso e per nulla materno.

La storia procede troppo spedita, le scene ambientate a Gateshead e Lowood occupano solo i primi 15 minuti, forse perché si aveva fretta di inserire quanto prima il personaggio del signor Rochester e catturare l'attenzione degli spettatori che non avevano familiarità con il romanzo.
A questo proposito, mi piacerebbe conoscere l'opinione di questa fetta di pubblico, perché ho avuto l'impressione che la storia, così come è costruita, possa almeno in alcuni punti risultare non molto chiara a chi non la conosce.
Una scena che mi è piaciuta molto, però, è stata quella in cui Rochester dà dei soldi a Jane prima della partenza di questa per Gateshead. E' stata molto aderente al romanzo e i due protagonisti sono stati molto dolci.
Vi sono anche delle scene romantiche tra i due, alcune non presenti nella storia originale, ma non per questo sgradevoli.


La parte della storia ambientata a Marsh End è la peggiore. I personaggi di Diana e Mary sembrano due svampite, Andrew Buchan, che interpreta St. John, non è affatto un Apollo greco, e non credo che il suo personaggio sia così odioso come appare nel romanzo; Georgia King, ovvero Rosamond Oliver, non si avvicina nemmeno alla bellezza che avrebbe dovuto essere.

A mio parere l'episodio più bello è stato il terzo, il peggiore, invece, il quarto.
Una trasposizione abbastanza deludente, quindi, che credo non guarderò una seconda volta, anche se alla fine non si può fare a meno di affezionarsi ai protagonisti.

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L'ultima trasposizione in ordine di tempo è quella risalente al 2011, con Mia Wasikowska nel ruolo di Jane e Michael Fassbender in quello di Mr Rochester.
E' sicuramente una produzione di tutto rispetto, e mi è piaciuto molto il fatto di cominciare a raccontare la storia partendo dalla fuga di Jane da Thornfield, includendo così Withcross e Marsh End, per poi andare a ritroso nel tempo.
Ho apprezzato anche il fatto che non si facesse cenno della parentela con i Rivers, coincidenza che oggi può risultare abbastanza tirata per i capelli.
Mia Wasikowska è una Jane abbastanza bruttina, ma, ancora, il suo personaggio non è Jane Eyre, o, almeno, non lo è del tutto. Questa Jane è cupa, malinconica, non ha nulla della ingenua sfrontatezza del personaggio originale, né della sua passionalità. Dove sono finiti i suoi irriverenti scambi di battute con Rochester?
Inoltre, anche la storia d'amore non è per niente coinvolgente, anzi, a tratti non sembra nemmeno una storia d'amore.
Di sicuro un film da vedere per i suoi innumerevoli pregi - regia, fotografia, Judi Dench nel ruolo di Mrs Fairfax -, ma che non mi ha soddisfatto appieno.


venerdì 6 gennaio 2017

Aggiornamenti



Aggiunte opinioni sul lungometraggio La regina delle nevi, tratto dall'omonima fiaba di H.C. Andersen.